Sulla stessa stampa italiana e nella riflessione di molti compagne e compagne è oggi usuale trattare della sconnessione fra i partiti e le organizzazioni della sinistra, ivi compresi quelli della sinistra della sinistra, e quello che si era soliti definire come il blocco sociale di riferimento.
Credo che valga la pena di interrogarsi sulle ragioni strutturali di questa disconnessione a meno che non si voglia pensare che qualcuno si sia distratto ed abbia dimenticato di occuparsi dell'intervento sul terreno di classe.
Come è noto, decenni addietro in Italia esisteva il più importante partito comunista dell'occidente, una realtà popolare con milioni di iscritti, un solido legame con il principale sindacato, un fittissima rete di case del popolo, sezioni territoriali ed aziendali, un'egemonia su ampi settori del mondo intellettuale. Alla sinistra del PCI, negli anni '70. c'erano inoltre diverse organizzazioni rivoluzionarie di discreta consistenza al punto che nel momento di maggior sviluppo avevano un numero di militanti maggiori rispetto allo stesso PCI anche se, ovviamente, il loro radicamento sociale era decisamente minore.
La condizione storica che permetteva questo dato di fatto era facilmente comprensibile, la crescita impetuosa della produttività del lavoro e, di conseguenza, del prodotto interno lordo, garantiva dei margini per la crescita dei salari, l'estensione del welfare, la conquista dei diritti. Ovviamente ciò non avveniva facilmente, gli anni '70 vedono uno straordinario ciclo di lotte operaie che si intreccia con una rivolta giovanile, con la nascita del movimento delle donne dando vita a un'esperienza di movimento assolutamente peculiare.
In questo contesto la sinistra politica e sindacale istituzionale gioca un doppio ruolo, per un verso di inquadramento e disciplinamento del conflitto di classe e, per l'altro di mediazione che, in quella fase, comporta comunque importanti conquiste per le lavoratrici e per i lavoratori.
Nei decenni seguenti si danno, li ricordo molto schematicamente, alcuni cambiamenti radicali:
- i margini per le conquiste sul terreno salariali si riducono seccamente e si dà una controffensiva padronale favorita dalla »globalizzazione«. I sindacati istituzionali la »gestiscono« garantendosi quote di risorse e di potere;
- la sinistra politica istituzionale abbandona ogni pratica socialdemocratica (in fondo il PCI era una socialdemocrazia moderata in salsa italiana nonostante coltivasse un'»identità« comunista e forti legami economici con l'URSS) per diventare una sinistra liberale attestata a difesa dei diritti civili. A mio avviso, per certi versi, era l'unica cosa che poteva fare a meno di scegliere un'improbabile radicalizzazione in senso laburista, radicalizzazione che in alcuni momenti è parsa possibile ma che, come ipotesi, è morta all'alba;
- le sinistre »rivoluzionarie« si riducono a dimensioni irrilevanti e alla coltivazione della nostalgia per i tempi passati;
- gli stessi »movimenti«, in mancanza di una mobilitazione sul terreno di classe, si sviluppano in autonomia a volte in maniera interessante e altre in maniera discutibile.
In questa situazione l'ipotesi formulata da Sergio Fontegher »un lavoro duro, costante, ingrato, oscuro, che richiede anni prima di ottenere qualche risultato, un lavoro che troppo pochi hanno continuato a fare...« è indubbiamente, più che condivisibile, l'unica possibile a meno che non ci si voglia dare al giardinaggio ma pone qualche problema.
In una fase in cui le lotte, che pure ci sono, sono al massimo categoriali e più spesso aziendali e locali la nostra presenza può svolgere una funzione di stimolo, di coordinamento, di comunicazione ma, a meno della ripartenza di un ciclo di lotte generali, ripartenza che non dipende certo se non in minima misura dalla soggettività delle compagne e dei compagni, l'attuale situazione di frammentazione non può che produrre la chiusura sui loro problemi immediati dei settori di lavoratrici e di lavoratori che si mobilitano.
Per, provvisoriamente, concludere, oggi si tratta di tenere la barra dritta sulla centralità del conflitto capitale/lavoro nella consapevolezza che operiamo contro corrente e per prospettive future. Poi si sa che l'acqua prima di bollire è ferma e che i movimenti reali prendono di sorpresa per primi i compagni e le compagne, si tratta di essere nella posizione più efficace al momento giusto.
Cosimo Scarinzi Torino